LA MALATTIA DI PARKINSON: MODERNE POSSIBILITA’ TERAPEUTICHE Dicembre 1, 2018 A. RICCIUTI Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia ASL di Viterbo INTRODUZIONE La Malattia di Parkinson (MP) è una malattia cronico-degenerativa che coinvolge diversi sistemi neuronali, tra i quali, prevalentemente, quello dopaminergico. La prevalenza di questa malattia in Italia oscilla tra 65,6 e 257 casi/100000 abitanti. L’incidenza stimata tra 4,91 e 10 casi/10000 abitanti/anno. Si stimano crescite esponenziali della prevalenza e della incidenza della malattia a causa del costante aumento della sopravvivenza della popolazione. Da un punto di vista eziopatogenetico, le più comuni forma sporadiche, caratterizzate da un’insorgenza tardiva e da una storia familiare negativa, sembrano riconoscere un meccanismo multifattoriale, in cui numerosi fattori genetici (geni associati con il metabolismo della dopamina, disfunzioni cellulari) e ambientali (esposizioni ambientali a pesticidi, erbicidi, metalli pesanti) concorrono allo sviluppo del quadro patologico e clinico con un possibile effetto soglia. Rare forme, per lo più a esordio precoce, più spesso associate a una positività di anamnesi familiare, riconoscerebbe invece una base genetica. Le alterazioni istopatologiche più caratteristiche e costanti sono localizzate nella pars compacta della sostanza nera (porzione anatomica localizzata nella porzione più rostrale del tronco dell’encefalo, al disotto dei nuclei della base). Tuttavia le caratteristiche inclusioni citoplasmatiche ialine, costituite da catene di alfa-sinucleina denominate “corpi di Lewy” e patognomiche nei neuroni superstiti, sono presenti anche in cellule non dopaminergiche in altre zone del tronco dell’encefalo. SINTOMATOLOGIA DELLA MALATTIA DI PARKINSON Sulla base anatomo-patologica si fonda la comprensione della complessa evoluzione sintomatologica clinica della MP. La sintomatologia della malattia riconosce sintomi motori e sintomi non motori. I sintomi motori sono caratterizzati da un incremento plastico del tono muscolare, detto rigidità e dalla lentezza e riduzione d’ampiezza del movimento, bradicinesia/ipocinesia. Il Tremore, l’altro sintomo patognomonico dell’esordio della malattia, ricorre in circa il 70% dei casi ed è prevalentemente a riposo e spesso non viene controllato completamente dalla terapia farmacologica. La Bradicinesia e la Rigidità, unitamente ai sintomi che ad essi possono ricondursi (ipomimia, micrografia, riduzione della destrezza e dell’agilità, alcuni aspetti dei disturbi di equilibrio, cammino e deglutizione), migliorano con la somministrazione di sostanze dopaminergiche (dopamino agonisti o levodopa) e mostrano un peggioramento progressivo correlato al grado di compromissione del tessuto nigrale. In quasi tutti i pazienti la voce si modifica diventando monotona e ipofonica, il volto amimico. I disturbi motori assiali, cammino, postura, equilibrio e disfagia sono i sintomi per i quali è richiesto più frequentemente l’intervento dei professionisti della riabilitazione. Sin dall’inizio della patologia i soggetti con MP possono manifestare un’andatura lenta a piccoli passi, asimmetrica, con ridotta oscillazione del piede e pendolamento degli arti superiori (sintomi correlabili alla bradicinesia) accompagnata da una postura in flessione anteriore del tronco (camptocormia) e talvolta anche sul piano frontale. Il fenomeno del Freezing della marcia viene definito come breve episodica assenza o marcata riduzione della progressione anteriore del piede rispetto all’intenzione di camminare; è un fenomeno più frequente all’avvio della marcia (start hesitation), al cambio di direzione e al raggiungimento della metà (turn and destination hesitation), oppure durante la camminata come assenza di avanzamento. E’ un sintomo episodico e simmetrico che può assumere la forma di tremore degli arti inferiori sul posto, trascinamento dei piedi con minimo avanzamento o completa acinesia. E’ più frequente nelle fasi avanzate della malattia in cui la frequenza supera il 50% e raramente in fase iniziale (nel 7% dei casi). Inizialmente può rispondere al trattamento con la terapia farmacologica ma con l’avanzare del tempo diviene in genere farmaco resistente (ON Freezing). L’instabilità posturale rappresenta il quarto sintomo patognomonico della MP, esordisce tardivamente rispetto agli altri, caratterizzando la fase tardiva della malattia e non risponde al trattamento farmacologico, associandosi quindi ad un peggioramento significativo e progressivo della disabilità e della qualità della vita, poiché favorisce complicanze come immobilità e cadute. La disfagia è un sintomo frequente della MP, sebbene rimanga misconosciuta ai singoli pazienti. La prevalenza è pari al 42-82%. I sintomi non motori riguardano la disartria ipocinetica che interessa fino al 90% degli individui affetti da MP. Questi cambiamenti nella produzione del linguaggio hanno generalmente un impatto significativo negativo sull’integrazione sociale e sulla qualità della vita. Il 98% dei pazienti mostra un corteo di sintomi non motori, altrettanto patognomonico di quello motorio, che comprende disturbi del sistema autonomico (90% sfera cardiovascolare, 68% stipsi, 55% genito-urinaria, 53% dispepsia, 10% iperidrosi), emotivo-comportamentale (ansia, depressione, psicosi primitiva o secondaria ai trattamenti farmacologici), dolore, fatica, disturbi del sonno e disturbi cognitivi (sindrome disesecutiva e demenza). Nella fase avanzata della malattia inoltre le complicanze relative alla terapia farmacologica ostacolano l’autonomia ed il recupero della stessa mediante la riabilitazione. Fluttuazioni motorie, discinesie al picco e/o alla fine della dose della terapia dopaminergica, distonie dolorose riducono infatti l’adesione al trattamento riabilitativo. Vanno inoltre segnalate le problematiche relative alla terapia dopamino agonista, quali le ossessioni comportamentali, il gioco d’azzardo e l’ipersessualità compulsiva. Tali eventuali problematiche devono essere ben spiegate e descritte dal neurologo che prescrive la terapia al paziente con MP. TERAPIA DELLA MALATTIA DI PARKINSON La Terapia della MP è una terapia sintomatica che agisce sui sintomi della malattia e non sembra influenzare, anche se non vi è accordo totale, l’evoluzione della stessa. La terapia a disposizione è farmacologica, riabilitativa e chirurgica. Differenti fattori intervengono sulla decisione terapeutica e questi sono la gravità della malattia, il grado di disabilità, presenza di altre patologie correlate, aspettative individuali, la condizione lavorativa e le problematiche psicosociali. Gli obiettivi della terapia sono volti a migliorare la qualità della vita, a minimizzare il rischio di complicanze motorie quali le fluttuazioni motorie e le discinesie e evitare effetti collaterali. La terapia è quindi necessariamente personalizzata e basata sulle esigenze e sulle caratteristiche del singolo paziente. Le categorie dei farmaci antiparkinsoniani sono: Precursori della dopamina: levodopa, in differenti formulazioni Dopaminoagonisti (ropinirolo, pramipexolo, rotigotina) Inibitori delle COMT (entacapone e tolcapone) Inibitori delle MAO-B (selegelina, rasagilina, safinamide) Anticolinergici La riabilitazione è di fondamentale importanza e va tenuta in considerazione i tutte le fasi della malattia ed anche nei pazienti che hanno eseguito un trattamento chirurgico di stimolazione cerebrale profonda. Il trattamento chirurgico consiste nella stimolazione cerebrale profonda (DBS). La DBS è oggi un intervento sicuro e valido nel trattamento dei disturbi del movimento e della MP in particolare in fase avanzata che non è più controllata in maniera adeguata dalla terapia farmacologica. La DBS è approvata dalla Food an Drug Administration (FDA). Questo trattamento viene utilizzato nei pazienti che presentano MP da almeno 4 anni ed hanno generalmente, una durata di complicanze motorie da 4 mesi. E’ un trattamento chirurgico, con metodologia stereotassica, reversibile che può migliorare il tremore, la rigidità, la lentezza dei movimenti e molte delle complicanze indotte dal trattamento farmacologico come le discinesie ed in fenomeni di ON-OFF (picco e fine dose). La tecnica è volta ad ottenere il posizionamento di elettrodi (del diametro di circa 1 millimetro) in specifici nuclei dei gangli della base. L’intervento chirurgico è suddiviso in due fasi, una prima, in anestesia locale (awake surgery) che permette di valutare i risultati clinici immediatamente durante la stimolazione, con la collaborazione del paziente e di una seconda fase, in anestesia generale per il collegamento degli elettrodi al pacemaker o neurostimolatore. In alcuni pazienti che non sono candidabili ad una chirurgia da sveglio, la prima fase può essere condotta anche in anestesia generale con il monitoraggio della registrazione delle sostanze nervose dei nuclei della base. Il neurostimolatore fornisce attività elettrica agli elettrodi posizionati nei gangli della base riuscendo a riequilibrare la loro disfunzione caratteristica nei pazienti con MP. In Europa generalmente il nucleo target della stimolazione cerebrale profonda è il nucleo subtalamico (STN). La stimolazione dell’STN (Bilateralmente), consente spesso di ottenere anche una drastica riduzione della terapia con levodopa e con dopamino agonisti con il correlato miglioramento di tutti gli effetti farmacologico – indotti. Anche la DBS è un trattamento sintomatico ma è una terapia che impatta significativamente sulla qualità della vita per i sintomi motori: tremore, rallentamento motorio, rigidità e sugli effetti collaterali della terapia farmacologica. E’ ormai accettato dalla comunità scientifica che la DBS + la miglior terapia farmacologica rappresentano un miglioramento curativo evidente rispetto alla sola miglior terapia farmacologica nei pazienti con MP. Poiché il miglioramento clinico sui disturbi di ordine motorio, in particolare, è persistente nel corso degli anni, sono i pazienti relativamente più giovani a poter beneficiare maggiormente in autonomia e miglioramento della qualità della vita dell’intervento chirurgico di DBS. Navigazione articoli L’APPROCCIO PSICOLOGICOPaolo Paganucci